La Storia di Atim

Mi dicono che c’è fuori dal cancello una signora che si presenta come Atim (un nome comunissimo, come Bianchi o Colombo). Fatela entrare – gli dico – che fuori piove, e fatela accomodare sotto il portico. Finisco un paio di email e poi vado a vedere chi è. Una donna emaciata, con l’AIDS dipinto in faccia: due occhi stupendi nella loro sofferenza. Mi racconta di essere stata una mia allieva quando insegnavo al Sacred Heart – a Gulu – negli ultimi anni ottanta (un liceo di 800 ragazze, allora guidato da Suor Marietta, che alcuni di voi hanno conosciuto quando negli anni 90 divenne superiora generale della sua congregazione). E’ stata rapita dai ribelli, e naturalmente violentata per più di due anni. Quando è riuscita a scappare, aveva due bambini e un terzo in pancia. Dopo molte peripezie è arrivata a Kampala, dove è riuscita a fare un corso di catering, e ha trovato lavoro in un albergo. Ma ogni tanto i ristoranti devono fare un controllo di tutti i dipendenti… è risultata sieropositiva e ha perso il posto. Mi chiede soldi, timidamente, con una voce flebile che sembra la madre di Cecilia del Manzoni: da sette mesi non ha pagato l’affitto (cinquantamila scellini al mese – più o meno le vecchie lire) e adesso il padrone di casa l’ha chiusa fuori, ma si è tenuto il frigo e due letti e tre sedie. Vorrebbe andare al nord, ha una vecchia zia nella savana vicino a Adjumani, un centinaio di km a nord ovest di Gulu – una zona poco battuta dalla guerriglia, dal suo villaggio può anche raggiungere un dispensario dove forse le daranno i farmaci per sopravvivere… Cosa costa il viaggio? le chiedo. Quarantamila la corriera per lei e i bambini, ma Padre, se potessi arrotondare… Devono pur comprarsi qualche banana durante il tragitto: se tutto va bene e trovano le coincidenze delle corriere ce la fanno in due giorni di viaggio. E vorrebbe anche riuscire a pagare metà dell’affitto arretrato – così il padrone di casa le lascia vendere il frigo usato (che tanto al villaggio non serve, mica c’è la corrente elettrica) e forse le lascia prender su qualcosa della biancheria dei bambini – lei il vestito che aveva addosso quando ha trovato la porta chiusa tanto è l’unico che ha. Perché sai, Padre, al villaggio i primi tempi sarà dura! Insomma avevo in tasca cinquantacinquemila scellini (meno di un pieno di benzina) e prima glieli ho dati tutti. E lei parlava, e raccontava, e spiegava… insomma mi sono preso indietro cinquemila scellini e mi son fatto prestare un altro cinquantamila e gliel’ho dato, perché ragazzi, ci son delle volte che non vedere Cristo nel povero diventa proprio impraticabile; metterò i cinquemila nel serbatoio del motorino e prima di domani andrò a prelevare dei soldi … per i prossimi.

Responses are currently closed, but you can trackback from your own site.

Comments are closed.