Lettera da Kampala 2005

Carissimi Amici di Gulu,

da qualche giorno sono tornato in Uganda. Chiaramente tornare dopo due mesi non può non riservare sorprese. Il motore della Rocky surriscalda e non si trovano più i pezzi, e quindi ben presto dovrò comprare una macchina usata adatta a queste strade. Per fortuna ho la moto ma quando diluvia per due giorni come ieri e l’altro ieri non è il massimo. Qui la morte è proprio di casa. Appena la gente – parlo degli amici africani – sente dire che sei tornato, sembra che ciascuno aspettasse solo quello per mandarti un sms in cui ti comunica il ritorno alla casa del Padre di qualche amico o conoscente. Inutile dire che la maggior parte di questi decessi è dovuta all’AIDS. Consolare gli afflitti è un compito improbo: si ha sempre l’impressione che siano troppi. La notte che sono arrivato è morto d’infarto anche il segretario generale della conferenza episcopale e questo mi ha permesso di vedere Monsignor Odama, il mio arcivescovo, prima di quando sperassi. Infatti ha dovuto interrompere una visita pastorale di una settimana ad Awac (40 km da Gulu, zona pericolosissima) per venire a Kampala e partecipare al funerale. Così ieri sera siamo stati insieme (stamattina è poi ripartito alle 5 per ritornare subito ad Awac). Per mia fortuna non c’erano altri ospiti in casa mia, e così gli ho offerto un bicchiere di vino e abbiamo chiacchierato a lungo. Chissà perché, tutte le volte che ho modo di parlare con lui abbastanza a lungo, riesce sempre a spiazzarmi. Io arrivo con tutti i miei quesiti, ho delle cose da dirgli che mi sembrano molto urgenti, aspetto delle risposte su delle iniziative che ho preso o su dei contatti che ho avuto. Lui risponde punto per punto in pochi minuti (ha anche una grande capacità sintetica, rara in Africa) e poi comincia a raccontarmi le cose che gli stanno più a cuore. E naturalmente tra queste ci sono gli estenuanti tentativi che ha fatto coi capi dei due schieramenti per una pace che mi sembra ancora lontana. E’ andato con una delegazione fino all’Aia per parlare col pubblico ministero internazionale: quello che colpisce nel suo racconto non è tanto quanto è riuscito a dirgli – i dettagli di una fila di cose più grandi di me – ma la santità dell’arcivescovo, che tranquillamente annuncia Gesù Cristo come l’unico pacificatore di questa situazione apparentemente maledetta. E altrettanto tranquillamente identifica la sua persona con Gesù: con Lui non teme nulla, anche se rischia quotidianamente la pelle. Era lì, seduto di fronte a me, con un bicchiere di vino davanti, con l’aria più rilassata del mondo, e sembrava di sentire il discorso di Santo Stefano nei capitoli 6 e 7 degli Atti degli Apostoli. Da brivido.

Vi saluto con affetto e vi ringrazio per la vostra generosità. Chiedo a tutti una preghiera a Maria, che, come ha detto Benedetto XVI, sta comunque dalla nostra parte!

P. Edo

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